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Cronaca

Ultimo Aggiornamento: 05/05/2008 21:02
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Coppola:"Vendo tutto e pago fisco"

Annuncio dell'immobiliarista romano

L'immobiliarista Danilo Coppola è pronto a restituire 70 milioni di euro al fisco previa la vendita totale del suo patrimonio immobiliare e in particolare della società "Ipi" proprietaria anche del Lingotto di Torino. E' quanto si evince da un documento che i difensori di Coppola hanno presentato al presidente della II Corte di Appello di Roma dove si sta celebrando il processo per fallimento a carico dello stesso immobiliarista.

La proposta di dismissione dell'intero patrimonio immobiliare, presentata anche per poter richiedere la scarcerazione è stata valutata con prudenza dal tribunale. Il presidente della Corte, Carmelo Rinaudo, ha preso atto della proposta, accogliendo la richiesta di ricovero temporaneo al Gemelli, considerando di "eccezionale rilevanza" le esigenze di custodia cauterale. Nella proposta al Tribunale Coppola spiega di voler liquidare il suo intero gruppo costituendo "un conto di garanzia" aperto in uno sportello bancario degli uffici della procura di Roma, "destinato al pagamento del debito fiscale a lui riconducibile".

Coppola, in particolare, spiega di voler liquidare il gruppo 'Tikal spa' e di voler cedere l'intera partecipazione in Ipi spa detenuta dalla Finpaco Properties nonchè i beni sequestrati, e di voler conferire un mandato a un advisor per la vendita del 47,24 per cento della Ipi. La proposta dei difensori di Coppola è stata accolta con scetticismo dai pm Giuseppe Cascini e Rodolfo Sabelli. Circa un anno fa, durante il primo interrogatorio nel carcere di Regina Coeli, dopo l'arresto avvenuto il primo marzo del 2007, Coppola spiegò di voler costituite un conto vincolato e controllato dalla procura, per pagare i debiti con l'erario che ammontano a 120 milioni di euro. I pm hanno sottolineato che la promessa di estinguere le passività fiscali è stata più volte enunciata da Coppola ma mai attuata.

Ha perso 11 Kg, disposto il ricovero dell'immobiliarista
Coppola sarà trasferito dal carcere di Parma dove è detenuto, al policlinico 'Gemelli' di Roma a causa dell'aggravamento delle sue condizioni di salute (ha perso 11 chili ed è affetto da patologia cardiaca). Lo ha disposto il presidente della II sezione del Tribunale di Roma, Carmelo Rinaudo. Il presidente ha accolto una istanza dei difensori di Coppola dopo che è stata letta in aula una perizia, disposta dallo stesso Tribunale, redatta dai medici Giuseppe Vetrugno e Pietro Bria. La decisione del Tribunale, di far ricoverare Coppola, disponendo il piantonamento, nel reparto di medicina di urgenza del Gemelli, è stata dettata dalla inidoneità del carcere di Parma ad affrontare la patologia dello stesso immobiliarista. La perizia letta dai consulenti del Tribunale ha evidenziato che Coppola ha un "grave deperimento organico", è bradicardico e va incontro a crisi cardiache.

Il tribunale, pur disponendo il ricovero al piano terra del policlinico Gemelli, ha ritenuto "di eccezionale gravità" le esigenze cautelari per lo stesso Danilo Coppola. L'immobiliarista tornò in carcere a dicembre, dopo l'evasione dagli arresti ospedalieri al nosocomio di Frascati. Coppola, dopo aver lasciato l'ospedale, chiamò una troupe tv di Sky per rilasciare un'intervista nella quale si disse perseguitato dalla procura, e poi si fece localizzare dalla polizia.

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Incidenti sul lavoro: tre morti

Vittime a Padova, Avellino e Cuneo

Ancora tre vittime a causa di incidenti sul lavoro. Un romeno di 46 anni ha perso la vita all'interno di una segheria a San Martino di Lupari (Padova). Un operaio di 44 anni è invece morto folgorato in un cantiere edile a Pratola Serra (Avellino) nel corso di una gettata di cemento. Il terzo incidente mortale nel saviglianese (Cuneo) dove un giovane polacco è rimasto folgorato mentre lavorava su un trattore in un pioppeto.



Padova
Inutile l'aiuto portato sul posto dai dieci colleghi della vittima, cosi come il soccorso dei medici dall'ambulanza intervenuta. L'operaio lascia una moglie e tre figli. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della compagnia di Cittadella e i tecnici dello Spisal.


Avellino
Secondo una prima ricostruzione, durante la realizzazione di un solaio di un edificio privato, il tubo dal quale viene colato il cemento ha urtato i cavi dell'alta tensione. L'operaio che stava provvedendo alla gettata è rimasto così folgorato da una scarica di 20mila volt.

Cuneo
Il giovane polacco ha alzato il braccio mobile del trattore ed ha sfiorato i cavi dell'alta tensione. Una scarica da 15 mila volt e per il conducente la morte è stata istantanea.


Convocato un tavolo sulla sicurezza
La sempre più lunga scia di incidenti sul lavoro ha convinto il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, a convocare un tavolo con le parti sociali e le Regioni sul testo unico per la sicurezza.


Scopo dell'incontro è verificare la possibilità di definire un protocollo d'intesa sulla sicurezza, come quelli realizzati alla Thissen Krupp, all'Ilva di Taranto, nei Porti di Genova, Ravenna, Napoli, e alla Fincantieri.

Intanto però, la Fiat-Group ha deciso di non partecipare all'incontro congiunto. E questo, recita una nota del sottosegretario della Salute, Giampaolo Patta, nonostante siano state riscontrate ''significative violazioni alla legge 123/2007 negli stabilimenti di Cassino, Melfi, Torino, Pomigliano d'Arco''. "Dimostra insensibilità e scarso senso istituzionale", ha accusato.

L'allarme ha anche spinto il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, a chiedere al premier dimissionario Romano Prodi di emanare subito l'ultimo decreto legislativo.
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Incendio traghetto:allarme petrolio

Trieste,paura per catastrofe ambientale

Continua a bruciare la nave turca "Und Adryiatik", incendiatasi all'alba di mercoledì al largo delle coste croate a 15 miglia tra Pola e Rovigno. L'imbarcazione, lunga 193 metri, ha a bordo 202 Tir e 11 tonnellate di materiali pericolosi, derivati del petrolio. In caso di affondamento si teme un vasto inquinamento ambientale. Tutte tratte in salvo le 31 persone a bordo. Sul posto anche due rimorchiatori italiani in aiuto delle unità croate.


L'imbarcazione era partita da Istanbul e, percorrendo la cosiddetta autostrada del mare, avrebbe dovuto giungere a Trieste. I quattro feriti, che avevano già ricevuto le prime cure su una nave greca, sono stati subito trasportati all'ospedale.

"Diciamo che i problemi per l'ambiente in questo momento - spiega Enrico Samer, agente e terminalista a Trieste per la compagnia turca Un Ro-Ro Istambul, proprietaria della nave - non sono molto grossi. Se la nave dovesse affondare non credo ci siano grandi problemi per recuperare il combustibile contenuto nei serbatoi. Siamo su un fondale di circa 40 metri e in caso di affondamento credo che il carburante possa rimanere nei serbatoi e quindi con tecniche moderne possa essere recuperato".

A bordo della "Und Adryiatik" vi sono circa 850 tonnellate di carburanti, di cui 800 servono al traghetto, mentre 50 sono di diesel marino. Viene anche esclusa l'ipotesi di esplosione del traghetto. Quello che potrebbe creare problemi, però, sono i serbatoi carichi dei 2020 Tir che si trovano a bordo: qualcuno potrebbe scoppiare.

Secondo il capo dei vigili del fuoco dell'Istria, che coordina le operazioni di spegnimento, la decisione su dove verrà portata la ''Und Adriyatik'' sarà presa dalle autorità croate insieme con l'armatore turco. La scelta sarà probabilmente Pola (Croazia), ma non si esclude ancora uno scalo portuale italiano.

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Erba, Olindo disse: "Sono stato io"

Maresciallo dei Cc sentito come teste

"Sì, sono stato io", ammise Olindo Romano di fronte ai carabinieri nel carcere del Bassone in merito alla strage di Erba. E' quanto emerso, durante l'udienza alla Corte d'assise di Como, dalla deposizione del maresciallo Corrado Cappelletti che fu chiamato nel penitenziario per effettuare i rilievi dattiloscopici. L'imputato parlò di una spranga e due coltelli. Una confessione inutilizzabile per l'assenza di un avvocato e dei difensori.


Olindo avrebbe dunque ammesso tutto, il 10 gennaio 2007, rispondendo ai marescialli dei carabinieri che gli chiedevano se non volesse liberarsi la coscienza: due giorni prima era stato arrestato con la moglie, Angela Rosa Bazzi, con l'accusa di aver partecipato alla strage di Erba avvenuta un mese prima. I militari gli chiesero se voleva vedere un magistrato, e Olindo avrebbe risposto affermativamente. Il magistrato - secondo la testimonianza di Cappelletti riportata dall'Ansa - arrivò dopo circa tre ore e, nel frattempo, l'imputato raccontò come si erano svolte le cose. Una confessione comunque inutilizzabile per l'assenza di un avvocato e dei difensori. Olindo poi confessò davanti al pm e anche al gip ma in udienza preliminare ritrattò così come fece sua moglie Rosa Bazzi.

In precedenza aveva deposto un altro carabiniere che effettuò i rilievi sulla vettura dei coniugi, trovando una macchia di sangue che si sarebbe rivelata poi essere quella di Valeria Cherubini, la vicina di casa che fu una delle quattro vittime dell'eccidio. Il processo riprende il 18 febbraio quando sarà sentito, tra gli altri, il luogotenente Luciano Gallorini, comandante della stazione di Erba e che per primo ebbe l'intuizione di indirizzare le indagini verso Olindo e Rosa Romano.

L'amico: "Raffaella era terrorizzata dai Romano"
Fra i testimoni che hanno parlato davanti ai giudici popolari e togati della Corte d'assise di Como, anche Emma Carangelo, che ha ripercorso i rapporti tumultuosi con i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi in quell'anno scarso in cui con il figlio visse nella corte di via Diaz 25. ''Non potevamo nemmeno aprire le finestre, perché la Rosy mi diceva sempre le parolacce. Con me si è sempre comportata male''. Circostanze confermate anche da suo figlio, Pietro Listo. ''Visto che mia mamma era anche malata - ha raccontato - feci scrivere una lettera da un avvocato. Da quel momento non ci parlammo più. Rosa Bazzi inveiva sempre contro mia madre''.

"Raffaella era terrorizzata, non preoccupata", ha confermato Luca Ferrari, testimoniando il terrore che Raffaella Castagna aveva per i coniugi Romano. Le liti iniziarono nel 2001 e sfociarono il 21 agosto, giorno del compleanno di Raffaella, in una vera e propria lite che richiese l'intervento dei carabinieri. In quell'occasione i coniugi Romano avrebbero lanciato un vaso di fiori contro l'abitazione di Raffaella staccando poi la luce. "Ci hanno lanciato un vaso di fiori contro che si è infranto sulla balaustra del balcone. Per fortuna non siamo stati colpiti ma è stata tanta la paura e lo spavento - ha spiegato in aula Luca Ferrari - Un gesto a cui sono seguiti tanti insulti e minacce. Avevamo paura a scendere e abbiamo aspettato i carabinieri".

In aula vanno in scena le tante citofonate che i coniugi Romano facevano a Raffaella per invitarla a smetterla di fare rumore. E l'amico Luca ricorda anche quando "Raffaella veniva a casa mia a piangere. Aveva paura di Rosa e Olindo e mi raccontava delle minacce che riceveva e che quando era incinta da loro ha ricevuto delle percosse".

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Commerciante freddato da ex moglie

Como, gli ha sparato dall'auto

Freddato con diversi colpi di pistola sparati a bruciapelo. Così è morto a Mariano Comense, Roberto Mariani, 45 anni, titolare di un solarium. A sparare in un parcheggio di via Mazzini lungo la strada che conduce a Giussano, sarebbe stata la ex moglie, G. C., 42 anni. La donna si sarebbe avvicinata con l'auto all'uomo e lo avrebbe freddato sparandogli dal finestrino. Poi è andata a costituirsi alla vicina stazione dei carabinieri.

L’omicidio è avvenuto in un parcheggio lungo una strada molto trafficata che conduce fuori dalla città.

La coppia, divorziata da diversi anni e con un figlio ormai ventenne, si è data appuntamento in un parcheggio lungo la strada che da Giussano, città in cui viveva Mariani, porta a Mariano Comense, dove ha sede il negozio di lampade autoabbronzanti del commerciante. L'uomo è arrivato a bordo di un Bmw X5, lei con una Ford Ka.

I due hanno discusso, ma presto la lite si è fatta violenta. La donna non ha esitato ad estrarre una Smith & Wesson e a sparare 3 o 4 colpi al petto. L’uomo è caduto a terra privo di vita e la donna si è recata alla stazione dei carabinieri di Giussano per costituirsi.

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Mafia, trovato covo dei Lo Piccolo

Palermo, "ripulito" dopo la cattura

E' stato localizzato dalla polizia il covo dove il boss Salvatore Lo Piccolo e il figlio Sandro, arrestati il 5 novembre scorso, hanno trascorso gli ultimi sei anni della loro latitanza. Il rifugio si trova a Terrasini, una località balneare del Palermitano. Nel covo sono stati trovati alcuni oggetti personali, ma nessun documento utile alle indagini. Gli inquirenti ritengono che la villa sia stata "ripulita" subito dopo la cattura dei due.


Ad agire è stato probabilmente l'altro figlio del boss, Calogero, arrestato il 16 gennaio scorso nell'operazione denominata "Addio Pizzo".

Il covo dove i Lo Piccolo avrebbero trascorso gli ultimi anni della loro latitanza è una grande villa su due altezze, che si trova nei pressi della strada statale, a poche decine di metri da un supermercato.

Nel rifugio, i Lo Piccolo avrebbero vissuto insieme con una famiglia di tre persone, che avrebbe presso in affitto la casa.

Secondo alcune indiscrezioni, gli investigatori sarebbero riusciti a risalire al covo attraverso le indicazioni fornite dal pentito Gaspare Pulizzi, ex guardaspalle di Totuccio Lo Piccolo.

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Operaio accoltella ex datore lavoro

Lodi:ucciso per soldi, fermato albanese

Un operaio albanese ha ucciso a coltellate il suo ex datore di lavoro a Guardamiglio nel Lodigiano. L'albanese era rientrato in azienda per contestare la liquidazione ricevuta. Ne è nata una lite violenta. Il titolare dell'impresa è stato aggredito e accoltellato più volte con una lama di 25 centimetri. Ferito in modo grave anche un dipendente della ditta che tentava di fermare l'operaio. L'assassino è stato bloccato dai carabinieri.


La vittima, Domenico Passariello, era titolare di una società di logistica a Guardamiglio: è stato colpito al cuore ed è morto all'ospedale di Codogno. L'omicida, un albanese in regola con il permesso di soggiorno, è stato arrestato dai carabinieri di Lodi. Il secondo uomo accoltellato è ricoverato in condizioni critiche all'ospedale di Piacenza.

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"Italiani, trascurate gli anziani"

Indagine Iref, le badanti ci accusano

E' uno spietato ritratto quello dipinto dalle badanti straniere che assistono anziani e bambini nelle famiglie del Bel Paese. Secondo un'indagine dell'Iref, Istituto di ricerche educative, illustrata da Repubblica, per oltre la metà degli intervistati i bambini italiani sono capricciosi e maleducati. Sotto accusa anche il nostro rapporto con gli anziani, trattati male e con scarso rispetto.

La fotografia dell'Iref è stata "scattata" nel 2007, con un'indagine su più di mille collaboratori domestici. Oltre la metà, il 50,9%, esprime un giudizio severo sui nostri bambini, ritenuti maleducati e viziati. Secondo gli stranieri servirebbe una maggiore severità da parte dei genitori. Soltanto il 23% delle baby sitter pensa che i bimbi siano abbastanza educati, mentre un altro 25% si mantiene equidistante, giudicandoli né maleducati né educati.

Scarso rispetto per i nonni
Famiglie italiane bocciate anche sul rapporto con gli anziani. Il 49,5% degli immigrati che hanno risposto alle domande del questionario in Italia i nonni non sono trattati bene né sono molto rispettati.

Correggono il tiro all'Iref: visto che la maggiore richiesta di cura è destinata a persone in età molto avanzata, le badanti "potrebbe percepire come molto alto il numero di famiglie che non si occupa dei propri vecchi preferendo lasciarli alle cure di estranei".

Va meglio i rapporti tra le famiglie e le colf. La maggioranza degli intervistati, il 59%, non si sente trattato male. Si arriva al 75% se il lavoratore vive nella stessa casa. Il maggior feeling, rivela la ricerca, nasce in chi si occupa di attività di cura: il 53,8% dice di pranzare insieme ai propri datori di lavoro. Discorso diverso per chi fa le pulizie: il 72,1% non si è mai seduto a tavola con la famiglia dove lavora.

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Nas: "Nessun bando su mozzarella"

"Troppo allarmismo, attendiamo analisi"

"Non c'è alcun bando sulla mozzarella campana da parte dei paesi asiatici, neanche in Corea del Sud". A gettare acqua sul fuoco sul presunto allarme alimentare legato alla diossina è il generale Saverio Cotticelli,comandante dei carabinieri per la tutela della salute (Nas). Cotticelli al termine del lungo vertice al ministero della Salute, aggiunge: "Non ci risultano mozzarelle ferme alla dogana in Giappone".


Il generale dei Nas ha fatto il punto alle autorità italiane sull'allarme diossina nelle mozzarelle campane. Fermo restando che "le analisi non sono ancora concluse ma verranno
rese note nei tempi previsti, molto presto", Cotticelli ha detto che "c'è molto allarmismo, un allarme esagerato che si riverbera in maniera drammatica sull'economia di una regione già provata". "E' tutto una bolla mediatica - conclude - ma dobbiamo essere seri e aspettare i risultati delle analisi, perché finora tutto è basato su ipotesi, su teoremi".

Danni per 30 miliardi
Un intervento che tende a limitare i danni economici che questa presunta emergenza sta provocando. Le vendite di mozzarella di bufala campana sono infatti precipitate nei due primi mesi dell'anno con una contrazione del 30% rispetto allo stesso periodo del 2007.

Tra mercato interno ed export, il Consorzio di Tutela stima infatti 30 milioni di euro di perdite. Il calo deriva dalla diffusione di notizie sull'emergenza rifiuti in Campania e sul sequestro di allevamenti per diossina. Intanto il Codacons studia una class action per i danni subiti dai produttori.
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Liechtenstein, 390 persone indagate

Iscritte a Roma, indagano 37 procure

I 390 nominativi elencati sulla lista di titolari di conti correnti in Liechtenstein sono stati iscritti nel registro degli indagati della procura di Roma. Sulla vicenda indagheranno 37 procure, compresa quella della Capitale. Tutti sono stati denunciati per omessa o infedele dichiarazione, reato che, essendo relativo al 2002, si prescrive tra meno di due anni.


La maggior parte delle posizioni, oltre 100, riguardano Milano, seguono Roma (circa 60), Bolzano (40) e Firenze (20). Pochissimi casi di persone residenti nel sud Italia, tranne due che sono a Napoli.

I reati ipotizzati nei confronti degli indagati sono la infedele e la omessa dichiarazione dei redditi, espressamente previsti negli articoli 4 e 5 della legge n.74 del 2000 in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. I fatti presi in esame risalgono ad un periodo che termina nel 2002 e sono a rischio prescrizione.

Tali reati decadono, infatti, in sette anni e mezzo. Le somme depositate nel Liechtenstein variano da un minimo di 200mila euro ad un massimo di 400 milioni di euro.

Tra i presunti evasori fiscali indicati nella lista di titolari di conti nel Liechetnstein ci sono anche due fondazioni. Gli altri, secondo quanto si è appreso, sono soggetti fisici e soltanto una ventina non sono stati ancora compiutamente identificati.

La procura di Roma, per gli indagati di competenza, ma altrettanto faranno anche le altre procure coinvolte, si attiverà con il ministero della Giustizia per chiedere una rogatoria internazionale alle autorità del Liechtenstein per avere riscontri sui depositi e l'autenticità della lista.
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Agguato nel Catanzarese: un morto

La vittima è un ingegnere 50enne

Un ingegnere 50enne è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nei pressi dello svincolo di Calderaio Vena di Maida, sulla Strada Statale 280 che collega Catanzaro a Lamezia Terme. L'uomo era alla guida della sua auto quando è stato affiancato da un'altra vettura con a bordo i killer, che gli hanno scaricato addosso numerosi colpi d'arma da fuoco. L'uomo è morto all'istante.

La vittima, Antonio Longo, sposato e padre di due figli, era amministratore delegato della società Tecnovese, con sede a Ravenna. Mercoledì mattina, uscendo da casa, l'uomo ha detto ai familiari che sarebbe andato a un appuntamento all'aeroporto di Lamezia, senza però dire con chi. Intorno alle 10, invece, l'agguato mortale sulla statale 280. A scoprire l'auto, un'Audi A3, con all'interno il cadavere dell'imprenditore, sono stati tre finanzieri liberi dal servizio: la vettura era ferma contro la barriera centrale di protezione, e i militari, pensando a un incidente stradale, hanno avvertito la polizia stradale.

Nell'auto i poliziotti hanno trovato una valigetta con documenti definiti di non particolare rilevanza per le indagini e una mazzetta di giornali: nulla che possa far risalire ai motivi del delitto.
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Stupro,fermato un omicida

Padova,tunisino già condannato nel 2001

Un tunisino di 48 anni è stato fermato dalla squadra mobile di Padova per aver sequestrato e tentato di violentare una donna italiana con la quale era uscito per un breve periodo ma che ora lo respingeva. Ali Abidi era stato ritenuto colpevole nel 2001 a Torino dell'omicidio della fidanzata. All'epoca era stato condannato a 22 anni di reclusione, ma di fatto ne aveva scontati solo sei. Dopodiché, si era trasferito nella città veneta.


L'uomo, regolare in Italia, dopo essere uscito dal penitenziario si è trasferito a Padova, dove ha conosciuto una donna con la quale ha avuto una breve relazione. Il tunisino però non ha mai voluto accettare la separazione ed ha perseguitato ossessionatamente la vittima fino a sequestrarla e trascinarla in un casolare, dove ha tentato di violentarla. Il tunisino è stato fermato su disposizione del pm padovano Roberto Lombardi.
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Ucciso per strada nel Genovese

Uomo colpito alla testa da un oggetto

Un uomo di 46 anni, Luigi Damonte, operaio incensurato dipendente della Coop, è stato ucciso ad Arenzano (Genova). E' stato trovato in fin di vita lungo una strada che sale sulle alture del paese, ma quando i soccorsi del 118 sono arrivati sul posto per l'uomo ormai non c'era più nulla da fare. Stando alla ricostruzione dei carabinieri, la vittima è stata colpita alla testa con un oggetto contundente che gli ha provocato diverse, profonde ferite.


Luigi Damonte era incensurato, faceva il magazziniere alla Coop di Arenzano, era sposato ed aveva una figlia. Sembra essere stato sorpreso dal suo assassino mentre si recava al lavoro. Sul posto i carabinieri hanno trovato un bastone spezzato, probabilmente l'arma del delitto.

L'operaio è stato trovato in un canalone sotto il ponte dell'autostrada. A dare l'allarme è stato un passante, che ha notato macchie di sangue per terra e ha chiamato i carabinieri. Ma quando sono arrivati i soccorsi, l'uomo era agonizzante ed è morto poco dopo.

Il pm Piercarlo Di Gennaro ha aperto un'inchiesta contro ignoti per omicidio volontario. I carabinieri della compagnia di Arenzano, incaricati delle indagini, sono a buon
punto nella caccia all'assassino.

La salma sarà sottoposta ad autopsia all'istituto di medicina legale dell'ospedale San Martino di Genova. Il sopralluogo è stato effettuato dal professor Francesco Ventura, medico patologo del San Martino. Non sono ancora noti il movente e le circostanze dell'omicidio.
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9 Aprile 2008
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Portopalo, condanna di 30 anni in appello

Catania - La Corte d’Assise d’Appello di Catania ha condannato a 30 anni di carcere Youssef El Hallal, comandante libanese della "Yohan", la nave cargo greca che della notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996, entrò in collisione con una imbarcazione di 16 metri - la F174 - carica di immigrati al largo di Portopalo (in provincia di Siracusa), provocando la morte in acque internazionali di 283 immigrati (160 indiani, 31 pakistani e 92 tamil). L’uomo era accusato di omicidio plurimo.

A pronunciare la sentenza il presidentre Francesco Virardi che ha stabilito anche una provvisionale di 20 mila euro per ognuna delle oltre quaranta famiglie delle vittime. L’accusa, il sostituto procuratore generale Giulio Toscano, aveva chiesto l’ergastolo. In un altro processo, il 9 maggio del 2007, la Corte d’Assise di Siracusa aveva assolto Tourab Ahmed Sheik, pakistano residente a Malta, armatore della F174. Il pm, Filippo Focardi, aveva chiesto l’ergastolo.

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Il Cavaliere: "Niente tasse per un mese"
Un po’ di pasta fredda, formaggio spalmato sui cracker, mezzo bicchiere di vino. «Champagne?», chiede il pilota. «No, vino bianco normale». Il pilota ci guarda: «Vede? Sull’aereo privato il comandante fa anche l’hostess...», sorride. Altro che l’Alitalia. Silvio Berlusconi domanda ancora qualche cracker, si assicura che tutti a bordo abbiano la cena («Ci sono più passeggeri del previsto, vero? »). Poi si rilassa. Sono le dieci di sera. È stata una giornata lunga, faticosa, chi lo accompagna sull’aereo è stremato. Lui che ha tenuto due comizi in Sardegna, più uno al telefono (col Veneto), un paio di conferenze stampa volanti, decine di interviste e infiniti colloqui privati, è il più pimpante di tutti. «E pensare che la descrivono come vecchio e stanco», abbozzo, accasciandomi sulla poltrona. Il mio fisico giovanile è punto sul vivo dell’orgoglio: solo aver seguito la maratona mi ha semidistrutto. E lui, che l’ha corsa, invece, è fresco come una rosa. Mi guarda e sorride: «Ha visto? È così tutti i giorni. E oggi mi è ancora andata bene... ».

Perché?
«Non ho le mani graffiate. Né lividi sulle braccia. Succede spesso. L’entusiasmo della folla è travolgente... Mi accolgono come se fossi una rockstar. Lo sa perché ho deciso di non portare più la cravatta?».
No.
«Perché un giorno ho rischiato di farmi male. Tanto era l’entusiasmo attorno ame che mi hanno afferrato involontariamente per la cravatta e mi hanno trascinato contro un tubolare. Allora ho pensato: in piazza occorre un altro abbigliamento. Devo stare comodo, come quando sono en privé».
Nessuna decisione strategica? Nessun pool di esperti? Nessun messaggio nascosto?
«Io non ho ovviamente nessun consulente per il look. Mity Simonetto si occupa solo dei servizi fotografici per i giornali. Cosa indossare lo decido io. Ma ciò che conta è altro». E cioè? «Il fatto che trovo dappertutto una grande passione, uno slancio incredibile, un desiderio di vicinanza anche fisica».
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Simile alle altre campagne elettorali, immagino.
«No. Di più. Non ho mai visto tanto entusiasmo in una mia campagna elettorale».
Eppure l’accusano di avere tenuto i toni bassi: niente promesse, niente miracoli, niente "sole in tasca".
«Sono stato semplicemente realista. Bisogna prendere atto della realtà che la sinistra ci ha lasciato: siamo un Paese in emergenza, cercare di rialzarlo è un dovere e un onere».
Tornare a Palazzo Chigi dunque sarebbe un onere?
«Sì. Al 100 per cento. Certo: c’è anche l’intima soddisfazione di chi torna per portare a compimento ciò che aveva iniziato nella precedente esperienza di governo. Ma c’è soprattutto il senso di responsabilità per la fiducia che la gente ha in me. Ha visto la gente che partecipa ai miei comizi?».
Ho visto.
«Uno di loro oggi mi diceva: Silvio, non è ancora nato il tuo successore... E io ho risposto: peccato».
Quali sono le possibilità di vittoria che si dà oggi?
«Possibilità di vittoria? 100 per cento».
Ma al Senato non c’è il rischio di qualche sorpresa? La vittoria netta nei voti potrebbe non coincidere con una maggioranza sicura in aula?
«Se succede è colpa del premio di maggioranza su base regionale, un premio che io non volevo. Non potendo farlo su base nazionale, sarebbe stato meglio abolirlo del tutto».
Teme per il Lazio?
«No. L’unica cosa che temo sono i brogli e gli inganni. Nelle altre elezioni ci hanno tolto quasi un milione di voti. Ma questa volta la distanza è tale che ogni loro sforzo sarà inutile».
Fra i possibili inganni va pure inserita la scheda-confusione?
«No, quel pasticcio danneggia tutti in egual misura. Però è un’altra dimostrazione della mancanza di buon senso della sinistra al governo. Della sua totale incapacità».
A proposito di incapacità: il problema dei rifiuti. Si stabilirà davvero a Napoli?
«Almeno tre giorni a settimana finché l’emergenza non sarà finita».
Ma come risolverà l’emergenza?

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«Per il medio periodo, costruendo termovalorizzatori dappertutto, in ogni provincia, secondo le emergenze».
E per il breve periodo?
«Ho delle idee precise e concrete. Se gliene dico una mi promette che non la scrive?».
Promessa mantenuta. E l’Alitalia?
«Se non la svendono prima delle elezioni, la salveremo. L’altro giorno ho ricevuto la lettera di un artigiano con un assegno di 150 euro. “Non posso dare di più”, mi ha scritto, “ma voglio offrire il mio contributo per evitare la vergogna che la nostra compagnia di bandiera finisca nelle mani di un altro Paese”. Mi ha colpito quella lettera. E mi ha fatto venire un’idea».
Quale?
«Incontrando le varie associazioni di categoria (l’ultima è stata la Confapi) ho chiesto alla platea: chi di voi se la sente di sottoscrivere una fiche per Alitalia se ve lo chiedesse il vostro presidente del Consiglio?».
Immagino la risposta.
«Hanno alzato tutti la mano. Tutti pronti. Del resto io non ho mai chiesto soldi per il partito: ora posso chiedere a tutti di diventare azionisti di Alitalia. E anche di volare Alitalia».
Ma questo appello all’azionariato diffuso significa che nella cordata non ci saranno più i grandi nomi che sono usciti sui giornali nei giorni scorsi?
«No, ci saranno anche quelli. C’è una compagine molto allargata di imprenditori importanti che si faranno avanti non appena questa sciagurata trattativa finirà. Alitalia resterà italiana e tornerà in attivo».
Dove troverà le risorse per abbassare le tasse, costruire le infrastrutture e rilanciare il Paese?
«Abbiamo diversi progetti. Uno dei più importanti è la cessione di immobili del patrimonio dello Stato, che vale 1.800 miliardi di euro, cioè più del debito pubblico italiano. Penso per esempio alle caserme nel centro delle grandi città che potrebbero diventare centri commerciali o direzionali».
Quanto pensa che si possa ricavare ogni anno dalle dismissioni?
«Almeno 15 miliardi di euro, ma si potrebbe arrivare anche a 30 miliardi. Tutte somme che dovrebbero essere destinate all’investimento in infrastrutture e alla riduzione del debito».
Gli italiani chiedono di ridurre soprattutto i costi della politica.
«In una grande azienda è dimostrato che i costi si possono ridurre del 30 per cento, senza diminuire il fatturato e la profittabilità. Dovremo farlo anche in quella grande azienda che è la nostra Pubblica Amministrazione. Ci si rimbocca le maniche e si comincia a risanare. In cinque anni dovremo impegnarci per portare il debito pubblico sotto il 100 per cento».
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E intanto taglierete anche le tasse?
«Sì, a cominciare dai provvedimenti che presenteremo al primo Consiglio dei ministri: l’abolizione dell’Ici sulla prima casa e la detassazione degli straordinari, una misura che non è ancora stata capita fino in fondo. Una misura davvero rivoluzionaria». Rivoluzionaria?
«Sì: perché se lavoratori e imprenditori si metteranno d’accordo, si potranno di fatto detassare tutti gli aumenti di stipendio».
Poi c’è la proposta sull’Iva...
«L’Iva non dovrà più essere versata in anticipo, ma solo quando sarà stato incassato il pagamento. Abbiamo cominciato a parlarne anche con l’Unione europea».
Ha qualcos’altro in mente?
«C’è un’iniziativa che mi piacerebbe molto, ma anche questa gliela posso dire solo se non la scrive...».
Presidente, non posso mantenere tutte le promesse. Se no che giornalista sarei...
«Dunque: l’idea sarebbe quella di regalare agli italiani, dopo tutto quello che hanno subito con Prodi, un mese senza tasse. Il mese della libertà. Probabilmente non si potrà fare, perché costa troppo. Ma come vede la fantasia per risolvere i problemi non ci manca».
Ha un’idea anche per risolvere il problema dei ministri?
«Non c’è nessun problema con i ministri. Non ne abbiamo ancora parlato».
Manterrete l’impegno: 12 ministri e non più di 60 cariche di governo in tutto?
«Sì. Lo manterremo. E ci saranno quattro donne».
Sa già chi saranno?
«Tre di queste quattro le ho in mente. Una sarà sicuramente Stefania Prestigiacomo».
Michela Vittoria Brambilla avrà un incarico di governo?
«Credo di sì. Ma le ho detto che non abbiamo ancora iniziato a parlarne. L’unico incarico mai messo in discussione è il ministero dell’Economia a Giulio Tremonti».
Bossi?
«Non ho detto quello che mi è stato attribuito. Sono le solite sparate dei giornali di sinistra, Repubblica e Unità in testa, che vogliono disinformare».
Il senatùr poteva risparmiarsela quella dei fucili...
«Ma lo sanno tutti che i fucili non ci sono. Lui si esprime così, per paradossi».
Si parla di Gianfranco Fini presidente della Camera...
«Perché no? Ma le ripeto: non ne abbiamo ancora discusso».
... E di Roberto Formigoni presidente del Senato...
«Non le dico nulla di più. Non è il momento. Adesso dobbiamo solo impegnarci per questi ultimi giorni di campagna elettorale».
A proposito di ultimi giorni di campagna elettorale. Ho notato un certo cambiamento di toni nei confronti della sinistra. Adesso lei è molto più duro.
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«Più deciso, direi. Il fatto è che mi ero illuso: avevo incontrato Veltroni e gli avevo creduto. Pensavo che finalmente potesse nascere una sinistra diversa, che fossimo vicini a una Bad Godesberg italiana. Invece mi sono sbagliato: sono sempre i soliti».
Quando se n’è accorto?
«È lampante. Veltroni aveva detto che si sarebbe presentato da solo e invece si è alleato con il peggio del peggio, con Di Pietro. Il che dimostra che nel Pd c’è ancora una radicata cultura giustizialista. Poi aveva promesso: divorzierò per sempre dall’estrema sinistra, quella che ancora orgogliosamente vuole chiamarsi comunista. E invece quando si è trattato del potere locale nelle elezioni amministrative si è messo ancora con Rifondazione comunista e con i comunisti italiani che aveva giurato di abbandonare per sempre. Un altro impegno mancato. E infine, per asseverare la sua pretesa di essere il nuovo, l’innovazione, il futuro, aveva annunciato una classe dirigente assolutamente nuova. Poi ha presentato le liste e nelle liste ci sono tutti, ma proprio tutti i ministri, i vice-ministri, i sottosegretari del Pd che sono ancora al governo con Prodi, a combinare i danni che sappiamo. Nessuna novità, anzi continuità assoluta, una promessa totalmente mancata».
E allora?
«Allora i fuochi di artificio dell’inizio della campagna elettorale sono finiti. Sono finiti gli effetti speciali. Veltroni da buon cineasta diplomato in fiction potrebbe scrivere come finale della sua campagna la didascalia che si legge alla fine di molti film: “Le vicende raccontate in questo film non hanno alcun riferimento a fatti realmente accaduti”».
Cioè?
«Cioè in Italia esiste una sola sinistra della realtà. E quella al governo è quella dei fatti, è quella che ci lascia una drammatica eredità. La pressione fiscale record, la crescita zero, l’apertura delle frontiere agli extracomunitari con il calo verticale della sicurezza dei cittadini, il blocco dei cantieri per le grandi opere, l’immane tragedia dei rifiuti. L’altra, la sinistra futura di Veltroni, è la sinistra delle parole, dei sogni, delle fantasie. Credo che gli italiani di buon senso l’abbiano assolutamente capito».
Le dà fastidio quando Veltroni la chiama "l’esponente dello schieramento avversario", senza citarla?
«Per nulla. Penso che Veltroni addossandosi una missione impossibile si sia rovinato con le sue mani».
Di Pietro è un punto fermo dei suoi comizi...
«Mi fa orrore».
Dicono però che il vostro programma e quello del centrosinistra si assomiglino...
«Hanno copiato. Ma sa qual è la differenza? Loro non hanno mai rispettato i programmi. Mai. A loro i programmi, come quello delle 281 pagine di Prodi, servono soltanto per conquistare il potere che poi gestiscono nel loro interesse, nell’interesse delle loro clientele, delle loro corporazioni, delle loro cooperative».

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Quindi nessuna possibilità di collaborazione dopo il voto?
«Non è possibile fare accordi con questa sinistra, che è rimasta quella di sempre. Per loro lo Stato è solo il partito che ha preso il potere: un’idea che non posso accettare perché segna il confine tra regime e democrazia».
Vi accusano di dire sempre le stesse cose.
«È vero: noi questa la chiamiamo coerenza».
E Casini?
«Casini ha preferito essere il primo in un villaggio che il secondo a Roma. Ma si troverà da solo perché molti dell’Udc sono rimasti qui, con noi, nel Popolo della Libertà, mentre lui se n’è andato».
Cosa ne pensa della campagna elettorale di Giuliano Ferrara?
«Abbiamo tentato di dissuaderlo in tutti i modi. Spero che non ci sottragga troppi voti, dal momento che i suoi saranno prevalentemente voti del Popolo della Libertà».
Lei ha già deciso dove voterà?
«Nel solito seggio. Quello dove votavo con la mamma, anche se adesso lei non c’è più».
Le sono mancati i suggerimenti di mamma Rosa in questa campagna elettorale?
«Sì, mi manca la telefonata quotidiana, quella in cui mi confidava quanti rosari aveva detto per me e commentava le immagini viste alla Tv. Mi mancano le sue raccomandazioni. Ancora adesso ogni tanto quando salgo in auto mi viene l’istinto di chiamarla, come facevo sempre».
L’intervista è quasi finita: sono riuscito a rovinarle l’unico momento di quiete sull’aereo...
«Ma no, è stato un piacere. Adesso sto bene, stamattina invece...».
Mi hanno detto i suoi collaboratori che la giornata non era partita benissimo...
«Ogni giorno mi spaventano un po’ gli impegni che mi aspettano. L’ha visto? È molto faticoso, proprio perché sto cercando un modo nuovo di fare politica: i miei non sono comizi, sono conversazioni a cui la gente partecipa con pieno coinvolgimento. E poi gli abbracci, i baci, le strette di mano, gli autografi, i consigli».
Uno dei suoi collaboratori mi confidava che lei è un diesel...
«Diesel? Forse perché tengo botta sulla lunga distanza. Maio mi sento un velocista. E i miei comizi spesso sono veri e propri exploit, pieni di novità e di battute improvvisate, anche se pochi giornali (compreso il suo, direttore) registrano l’entusiasmo e la passione che mi accolgono e mi accompagnano».
Siamo prudenti, presidente.
«Stasera, invece, io sono proprio soddisfatto. E allora mi premio con un bicchiere d’amaro. Comandante, me lo porta?».
Prende l’amaro solo se è soddisfatto della sua giornata?
«Esatto. Me lo consento solo se ho adempiuto a tutti i miei doveri».
E quindi?
«Quindi lo prendo sempre, caro direttore».

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Perugia - È giallo nel piccolo borgo umbro di Casa Castalda. Nella frazione di Valfabbrica dove è stato trovato il corpo senza vita di Marisa Radicchia, 50 anni, con una ferita alla gola. Il cadavere era all’interno della propria abitazione. L’allarme è stato dato intorno alle 8,30 dal figlio Simone, che abita al piano superiore. Insospettito dall'odore di gas ha sceso le scale e ha trovato il padre, Alberto Piterini, 57 anni, chiuso dall’interno in bagno. In camera il corpo senza vita della madre, sarta impiegata in una cooperativa della zona.

Il gas Aveva portato con sé in bagno una bombola di gas Pietrini, camionista in pensione. Gli investigatori ipotizzano che l’uomo volesse uccidersi. La bombola era stata aperta e il locale invaso dal gas. La stessa operazione era stata compiuta in cucina dove erano stati inoltre aperti i rubinetti per l’erogazione del gpl. Per mettere in sicurezza la palazzina sono intervenuti anche i vigili del fuoco. Pietrini si trova ora ricoverato in ospedale ma la sua vita non sarebbe in pericolo. Le operazioni sono coordinate e dal pubblico ministero della procura di Perugia, Sergio Sottani.

Piantonato È stato sottoposto a fermo dai carabinieri con l’accusa di omicidio volontario della moglie il 57enne nella cui abitazione è stato trovato il cadavere della ex moglie. L’uomo si trova attualmente piantonato in ospedale. Non sarebbe stato ancora sentito dai carabinieri a causa delle sue condizioni di salute. Dai primi accertamenti è emerso che la donna è stata colpita alla gola con un oggetto metallico appuntito (non si tratterebbe comunque di un coltello). Ha riportato una profonda ferita che potrebbe avere interessato anche la carotide. La morte risale a diverse ore prima del ritrovamento del cadavere, anche sette o otto. L’ipotesi è che la donna si sia recata ieri sera a portare la cena all’ex marito. Sarebbe stata quindi colpita mortalmente nella tarda serata di ieri o nelle prime ore della notte.

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